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“La credibilità è quello che dicono di voi (persona, azienda o prodotto poco importa ) quando siete assenti.” 

Jeff Bezos

Fin dall’ottocento le donne hanno dovuto conquistarsi la credibilità professionale, in tutte quelle attività che non fossero “femminili”, come invece lo erano la sarta, la modista, l’istitutrice, la balia o la cameriera di casa. Il percorso è continuato sino a oggi, quando finalmente abbiamo anche donne astronauta, direttore di centri internazionali di ricerca, capo del governo o di un ministero e questo grazie alle capacità personali/professionali e non certo alle quote rosa che le accomunano ai panda: specie protetta che non potrebbe farcela con le sue sole forze.

Ma anche per gli uomini il percorso della credibilità professionale non è scontato né automatico: basti pensare, fra tanti esempi possibili, a chi è diventato medico, avvocato o dirigente d’azienda avendo alle spalle “solo” i sacrifici di una famiglia operaia o contadina. 

Le porte se le è dovute aprire da solo, con grande impegno e niente facilitazioni.

Per molto tempo la scuola è stata, per chi poteva frequentarla, un lusso o una grande opportunità di promozione sociale.

In questo contesto il ruolo dell’insegnante aveva un valore assoluto e la sua professionalità non era messa in discussione ma nemmeno presa in considerazione.

 

Il maestro era il maestro. Ne aveva titolo, punto e basta.

Attualmente la scuola non è tanto un obbligo, quanto una necessità assoluta per poter vivere nella nostra società con una cultura significativa e non semplicemente barcamenarsi, stare al traino o sopravvivere. E di conseguenza il docente deve rispondere a richieste mai ricevute prima e operare in contesti in continua evoluzione.

 

Esattamente come tutti gli altri professionisti.

 

Avere titolo, abilitazione e contratto è la conditio sine qua non per poter insegnare, come una laurea e l’esame di stato sono indispensabili per fare l’ingegnere; ma la qualità del lavoro che svolgiamo dipende sostanzialmente da noi.

Da qui nasce la necessità di conquistare, anche da parte degli insegnanti, la propria credibilità professionale (individuale prima di tutto, che poi diventa anche collettiva), perché stare seduti su un titolo non basta, come non basta impegnarsi molto ma lavorare in maniera un po’ improvvisata, senza una profonda formazione sempre maturata e coltivata. 

Conosciamo tutti alcuni insegnanti che stanno in quella parte che la credibilità se l’è conquistata da tempo e siamo fieri di aver a che fare con loro.

Se la sono conquistata da sé stessi, perché non si tratta di qualcosa, di un imprimatur che qualcun altro, foss’anche il ministero, ci può assegnare.

Se abbiamo bisogno che qualcuno –altro da noi, esterno- ci assicuri la credibilità che ci serve come professionista per esercitare pienamente e con competenza il nostro ruolo, allora vuol dire che questa credibilità non l’abbiamo affatto, come se fossimo eterni minorenni che hanno bisogno della firma del papà sull’avviso datoci dalla scuola.

Solo allora saremo pienamente professionisti, persona e lavoratore di grande respiro, impatto, cultura e significato.

E questa professionalità diventerà percepibile, riconosciuta e rispettata.

 

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