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Quando la performance è più grande dei numeri

Se abbiamo di fronte un libro, è facile misurarlo: possiamo farlo in centimetri, in numero di pagine, in quantità di copie vendute, in costi di stampa, in numero di lettori. E già questi dati numerici possono aprirci differenti scenari rispetto a una valutazione complessiva: gli incassi, il successo, l’impatto culturale…

Se abbiamo di fronte una persona, un gruppo, un’azienda la faccenda si complica e se pensiamo ai risultati di un’attività professionale o di un intervento formativo stiamo ragionando per sistemi complessi.

Ecco perché il dato numerico da solo non è sufficiente a descrivere una performance. Questo venditore ha venduto il 15% in più dello scorso anno. Ma in che modo è stato raggiunto questo incremento? Per l’aumento dei prezzi? Creando clienti soddisfatti? Con quanti reclami e resi? Con quale incremento di fatturato? E di insolvenze? E con quale impatto sulla sua disponibilità, attenzione, motivazione, senso di appartenenza? Con che immagine aziendale trasmessa? La valutazione si fa più completa, se rispondiamo a domande come queste andando oltre il numero.

In azienda ci si trova spesso a dover compiere valutazioni sulle persone che lavorano e sono addirittura necessarie nel caso degli apprendisti in carico a un tutor.

Valutazione, performances e azienda sono ingredienti dello stesso successo, o insuccesso. La ricerca e la proposta di nuovi prodotti, tecnologie e servizi è strettamente legata alle persone che la svolgono, la sostengono e la valorizzano: senza le persone anche l’innovazione tecnica più all’avanguardia non è in grado di essere accolta e implementata.

Può sembrare più immediata e più risolutiva la scelta di intraprendere osservazioni e valutazioni sulle capacità tecniche di tutti gli operatori di un’azienda, dalla competenza nell’uso di nuovi software, a quella di nuovi macchinari o processi produttivi o realizzazione di servizi sempre più rispondenti alle richieste dei clienti e agli obiettivi aziendali. Ma più uno strumento tecnico è innovativo, sofisticato e ricco, più è condizione necessaria che le persone che lo utilizzano possiedano la mentalità adatta a gestirlo. Tutti possiamo aggiungere, alle nostre abilità attuali, quella di usare un nuovo strumento, ma ciò che fa la differenza è il nostro approccio con questo tipo di novità e con le sollecitazioni che questa esercita su di noi. È facile capire per esempio che certi programmi informatizzati sono qualcosa di più innovativo, sofisticato e ricco di un “vecchio” schedario manuale, ma quante persone conosciamo che li utilizzano mantenendo il “vecchio” modo di fare e una prestazione ridotta al minimo?

Essere abili in qualcosa è sempre il risultato di un mix molto speciale nel quale la pratica, il pensiero e la passione si mescolano e si influenzano reciprocamente. Gli apprendisti che imparano questo, diventeranno professionisti abili, efficaci, stimati, propositivi e in grado di confrontarsi con nuovi modi di pensare oltre che di operare.

Il lavoro non è un “male necessario” da svolgere in un “posto” sognando intanto strepitose vittorie al superenalotto, ma un’attività che unisce ideare, proporre, fare, prevedere, verificare e per la quale occorre che il lavoratore o l’apprendista investa se stesso: è questo che ha reso grande la tradizione italiana fin dalle botteghe rinascimentali. Nessuna impresa che voglia essere attuale e competitiva può trascurare la tecnica e la passione necessarie a valorizzare il proprio lavoro e a far crescere chi concretamente può proseguirlo, portarlo avanti e migliorarlo nel tempo. Troppe volte anche gli imprenditori migliori danno per scontato che gli apprendisti impareranno, lavoreranno e seguiranno un percorso utile e soddisfacente: tecnica e passione non sono “doti innate” che qualcuno possiede e altri no, ma sono intenzioni che vanno coltivate con cura, attenzione e costanza.

In effetti il messaggio che ci sta mandando quella che definiamo “crisi” è che ci troviamo in un altro mondo che va quindi affrontato in un altro modo. Ciò che ha costituito benessere, si sta trasformando in fardello per chi crede che, grazie alla ripresa, prima o poi tutto tornerà come prima. Nessuna tecnologia ci renderà competitivi, se non cominciamo noi per primi a pensare e valutare con differenti modalità: ogni realtà imprenditoriale è parte di realtà via via sempre più complesse con le quali interagisce e che non può ignorare. Gli effetti di ogni nostra scelta e decisione si ripercuotono a cascata e vanno considerati oltre l’immediato.

Avere in carico degli apprendisti significa, che lo vogliamo o no, trovarsi all’interno di questa cornice di riferimento e dedicarsi a osservare processi di apprendimento e di crescita.

Spesso il tutor possiede conoscenze ed esperienze in merito al contenuto del lavoro che svolge e del settore in cui opera ma è meno attrezzato a compiere valutazioni relative a quella parte significativa delle competenze necessarie che hanno a che fare con la comunicazione esterna e interna, la relazione interpersonale, la gestione e l’organizzazione di se stessi e del lavoro, la motivazione e il senso di appartenenza. Tutti aspetti che stanno diventando sempre più importanti e determinanti, parte integrante del lavoro e spesso elemento chiave per risultati di buon livello e soddisfacenti. Competente è il lavoratore, il professionista, l’apprendista che non si limita a svolgere (bene) attività specifiche, ma che è in grado di cogliere le interdipendenze tra compiti/attività lavorative, saperi necessari, relazioni interpersonali e condizioni del contesto e, nel fare questo, investe se stesso.

Nell’osservare gli apprendisti nei propri ambiti di attività (e non solo gli apprendisti, bensì qualunque collaboratore) è facile cadere nell’opinione personale, nell’impressione, nel lasciarsi trascinare da aspettative ed emozioni o nell’accontentarsi di qualche misurazione numerica, pensando che questo la renda “oggettiva”.

"Misurabilità" è un concetto ben più ampio della semplice quantificazione di una grandezza. Misurare non richiede necessariamente uno strumento come il metro, il chilo, l’euro, il punteggio dei voti ecc. né può limitarsi a quello.

Se abbiamo definito l’obiettivo, la misurazione avviene confrontando lo stato raggiunto ora con quello contenuto nello scenario dell’obiettivo al momento della sua formulazione: cosa mi occorre per sapere che ho raggiunto questo obiettivo? Possiedo, sono in grado di utilizzare e apprezzare questa evidenza? Corrisponde allo scenario del mio obiettivo? Ecco perché, per ogni apprendista, occorre avere obiettivi di apprendimento, esperienza e crescita accuratamente e specificatamente definiti. Ecco l’importanza e il senso dati alla compilazione del Piano Formativo Individuale, che è un progetto di crescita per tutta l’azienda, non un mero adempimento formale da sbrigare il più in fretta possibile solo per avere un giustificativo.

Valutare significa attribuire valore.

Valutare significa anche capire a che punto del suo percorso una persona è arrivata: se, come è sempre necessario, sono stati stabiliti degli obiettivi, è indispensabile sapere se, quanto, quando e come sono stati raggiunti. Come esseri umani funzioniamo per obiettivi, quindi funzioniamo e siamo immersi in una rete di valutazioni.

Le verifiche, come ogni intervento di osservazione di un sistema (una relazione fra persone o fra organizzazioni; un apprendista che impara) sono in ogni caso soggettive e per di più l’osservatore fa sempre e comunque parte del sistema che osserva.

Ciò che può garantire “l’oggettività” non è dunque l’essere esterni (cosa impossibile), ma la possibilità di osservare da un maggior numero di punti di vista: più una valutazione coinvolge tutte le parti di un sistema, più è efficacemente descrittiva di quella situazione e di quel sistema: questa è l’oggettività possibile, un impegno, certo non sicurezza e garanzia. Quello che serve è creare ricchezza di descrizioni, ricchezza valutativa, non trovare una formula o un giudizio che tutti condividono o asseriscono di condividere.

In ambito formativo (aziende, organizzazioni e corsi di sviluppo personale e professionale), quando si vuole realizzare una valutazione veramente significativa, si crea una serie di schede, con criteri condivisi, che vengono compilate dal singolo corsista su di sé, da alcuni o tutti i suoi colleghi, dagli assistenti e dai docenti. Si crea così uno scambio di punti di vista tra la percezione e l’idea che il corsista ha di sé e quelle che egli riscontra nei colleghi, un confronto durante il quale non c’è una gara a chi ha “più” ragione, a quale risultato pesa maggiormente, ma c’è –da parte del corsista- la massima apertura ad accogliere gli elaborati di ciascuno. In pratica riceve una sua descrizione a tutto tondo da parte di tutte le figure con le quali è in relazione rispetto all’oggetto della valutazione: in questo caso, il corso. Altri e ulteriori punti di vista. Questo “ventaglio” di osservazioni e di osservatori possiede un potente impatto valutativo e soprattutto formativo. Così, se vuole, il corsista può “crescere”.

Il comportamento è il nodo centrale di questo processo di osservazione.

Noi possiamo conoscere e capire cosa un apprendista (un collaboratore) sa e sa fare, solo attraverso dei comportamenti che agisce. L’apprendista parla o esegue un lavoro (comportamento), usa la voce e gli strumenti necessari (comportamento), ordina e organizza informazioni e protocolli (comportamento), accedendo al suo personale data base mentale delle informazioni, degli apprendimenti e delle esperienze che ha memorizzato (comportamento interno) e fa tutto ciò servendosi di abilità che possiede. Il tutto connotato da una serie di stati emotivi attraverso i quali passa.

L’apprendista agisce questi comportamenti a un certo livello di abilità: parla ed esegue lavori con maggiore o minore dimestichezza, usa la voce e gli strumenti di lavoro con maggiore o minore facilità, discernimento e flessibilità, ordina e organizza informazioni con maggiore o minore pertinenza, coerenza, collegamenti, efficacia, gestisce i suoi stati emotivi in maniera funzionale o disfunzionale al contesto e all’obiettivo. Queste sono alcune delle abilità che traspaiono dai comportamenti stessi, e che non possono essere conosciute se non attraverso i comportamenti. Ciò che è osservabile dal tutor e che potrebbe nello stesso modo essere osservato da altre persone/osservatori presenti nello stesso contesto (quindi ciò che alcuni definirebbero “oggettivo”) è proprio e solo il comportamento.

In sostanza il tutor per esempio si può chiedere “cosa deve saper fare (comportamento) il mio apprendista per dimostrare l’abilità di gestire un cliente in negozio, riparare una caldaia, tenere la contabilità di un affiliato, operare al computer ecc?”. La risposta potrebbe essere “sorride al cliente, si avvicina a lui” oppure “riceve dati amministrativi e li processa autonomamente” oppure “si accorge quando alcuni dati sono incongruenti tra loro” oppure “ascolta ciò che riferisce il cliente e poi esamina i vari componenti della caldaia per verificarne il corretto funzionamento” oppure “risponde nei dettagli alle richieste che riceve” ecc. Quelli descritti sono comportamenti osservabili anche da parte di osservatori differenti, non sono opinioni personali di un osservatore piuttosto che di un altro. Quali segnali, percepibili da qualcuno dei 5 sensi [vedere, ascoltare, toccare ecc.], da parte mia e di ogni altro eventuale osservatore, mi consentono di affermare che “è bravo a gestire un cliente” oppure “non capisce cosa un cliente chiede veramente”?

Ecco quindi che “l’apprendista è gentile coi clienti” o “l’apprendista mantiene un comportamento professionale” può diventare:

  • l’apprendista saluta sempre i clienti che entrano in negozio

  • l’apprendista ringrazia dopo ogni interazione con loro

  • l’apprendista smette di riordinare la merce per rivolgersi a un cliente

  • l’apprendista si occupa con pazienza di un cliente anche se mancano 5 minuti alla chiusura

  • l’apprendista riconosce un cliente che sia stato già in negozio anche solo per chiedere un’informazione

  • ecc.

Un gruppo di questi comportamenti diventa descrittivo di un’abilità, quella di interagire col cliente. In questo modo chiunque sia dotato di occhi e orecchie (tutor, colleghi, personale delle pulizie, fornitori, titolari, visitatori occasionali…) è in grado di percepire se l’apprendista saluta, se ringrazia, se si rivolge sorridendo o parla di traverso continuando a riordinare le scatole….

Parliamo di osservazioni e monitoraggio (ripetibile nel tempo) e non di giudizi soggettivi tipo “per me è proprio un cafone!” o “è negato per questo lavoro!”.

Le descrizioni sono utili se contengono ciò che l’apprendista fa e non ciò che non deve fare.

"L’apprendista non dà attenzione al cliente" è molto diverso e molto meno utile ed efficace di "l’apprendista si gira e si avvicina sempre/occasionalmente/raramente al cliente che entra, salutandolo". Per trasformare la prima affermazione nella seconda mi chiedo: cosa deve fare, di osservabile, se non dà attenzione al cliente? Il non dare attenzione in che modo può essere osservato? Si gira…, saluta…, sorride…, rivolge qualche domanda…, tratta l’ultimo cliente della giornata con la stessa disponibilità e freschezza del primo … Questo è osservabile. Non posso osservare ciò che non c’è, che non viene fatto.

“Cosa voglio ottenere facendo ora il punto della situazione in questo modo e relativamente a questa area? Quali elementi prendo in considerazione, se voglio questo?”. Queste sono le domande che ci devono guidare in ogni occasione e che ci possono aiutare a mantenere la direzionalità del processo valutativo.

Competenze relazionali e comunicative… Oggi tutti sanno quanto siano importanti, ma ogni azienda sa anche quanto sia soggettiva e critica la loro valutazione.

Creare delle schede di comportamenti osservabili e sensorialmente basati costituisce un test innovativo per quantificare i risultati degli interventi organizzativi/formativi rivolti allo sviluppo delle competenze relazionali e comunicative di tutti i collaboratori e, in questo caso, degli apprendisti in carico a un tutor.

I vantaggi di questo tipo di monitoraggio/misurazione sono:

  • L’attendibilità e l’affidabilità dei risultati

  • La personalizzazione sulla realtà dell’Azienda

  • La possibilità, una volta prodotte le schede, di essere facilmente autogestito

  • La capacità di monitorare i cambiamenti nel tempo

  • La possibilità di far crescere la capacità di autovalutazione

  • Il maggiore coinvolgimento e la responsabilizzazione del collaboratore osservato e di coloro che partecipano come osservatori

  • Il maggiore impatto grazie al numero di osservatori scelti per ogni situazione

  • La sottolineatura del feedback rispetto al giudizio di un esame

Come funziona? Qualunque abilità si esprime tramite matrici di comportamenti efficaci.

Ogni scheda si basa sull’osservazione della frequenza di questi comportamenti.

Questa osservazione, ripetuta e inserita in una scala di valutazione, consente di misurare nel tempo come cambiano i comportamenti e di conseguenza quanto è presente o si sta sviluppando una determinata abilità.

Perché funziona? Questo tipo di osservazione -a differenza di altri test- non si basa su sensazioni, giudizi o valutazioni soggettive. Rileva invece quanto sono frequenti gli indicatori comportamentali relativi a una abilità desiderata.

Poiché i comportamenti sono concretamente osservabili, ha una capacità di descrizione tecnica

sperimentale molto elevata; se poi viene eseguito a tutto tondo, proponendolo quindi contemporaneamente all’apprendista come forma di autovalutazione, poi a qualche collega, al tutor, ad altri referenti e titolari consentirà di ottenere un profilo completo delle abilità prese in considerazione e costituirà un punto di partenza utile per miglioramenti e interventi formativi interni ed esterni. Un input alla responsabilità della crescita e non un giudizio più o meno inappellabile.

Poiché le schede vengono compilate ad hoc, sono in grado di supportare la misurazione e la descrizione di una grande varietà di competenze desiderabili. Abbiamo parlato di apprendisti, ma lo stesso discorso vale per ogni tipo di lavoratore, quando si vogliano monitorare competenze relazionali, comunicative, gestionali, organizzative, insomma quelle che si definiscono in genere soft skill: per esempio la flessibilità, la capacità negoziale, la cura del cliente, la leadership, la capacità di vendita, per nominarne solo alcune. Se sono create con cura e precisione, queste schede possono fornire dati qualitativi e quantitativi utilizzabili per molteplici scopi: piani di formazione e di coaching, misurazione degli obiettivi qualitativi e comportamentali nell’ambito di piani di incentivi, analisi di clima...

In questo modo si contribuisce anche a migliorare le prestazioni aziendali.

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