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LE COMPETENZE: il ciclo di sviluppo

Un ciclo di sviluppo

Per diventare competenti in qualcosa, seguiamo un processo ciclico.

Il “qualcosa” in questione può essere: parlare, camminare, mangiare autonomamente, oppure cucinare, guidare l’auto, praticare un hobby, imparare una lingua straniera, svolgere il nostro lavoro, gestire una funzione o un’azienda… Quindi può trattarsi di “macro-capacità” (da guidare l’auto a guidare una multinazionale) o di “micro-capacità” (da sgranocchiare un grissino a riconoscere dalla voce un cliente entrato nell’altro ufficio).

Ci basti pensare che ogni attività, compreso il lavoro manuale, fa funzionare numerose parti del nostro cervello. Da alcune ricerche effettuate rispetto agli uomini primitivi è emersa la complessità dei calcoli da loro fatti mentalmente per intrecciare fili di canapa o di pelli per creare “semplici” manufatti. Lo stesso compito è stato affidato a un computer, per ricostruire, dai movimenti necessari, i calcoli ai quali era sottoposto il cervello. Risultato: il computer ha eseguito più di ventimila operazioni per calcolare quello che il cervello dell’Homo Sapiens aveva attivato e trasmesso all’operatività della sua mano.

Quattro fasi per la competenza: da incerta ad automatica

La competenza si acquisisce e si consolida attraverso un ciclo composto da quattro fasi:

1. Incompetenza inconscia: Non so niente di una certa capacità, di cosa occorre per attuarla e potrei non sapere nemmeno che questa capacità esiste. Per esempio da neonato non so camminare e non so nulla del camminare, di ciò che occorre per farlo né che lo farò. Da studente o da neo-apprendista non so nulla di come si contatta un certo tipo di cliente al telefono.

2. Incompetenza conscia: So che esiste una certa capacità, ma non la so usare, anche se scopro cosa occorre per acquisirla e manifestarla. A 6/10 mesi comincio a notare che gli adulti compiono spostamenti, tento delle imitazioni sollevandomi; all’inizio del mio primo lavoro osservo atteggiamenti, parole, comportamenti al telefono da parte di colleghi più esperti e comincio a farmi un’idea di quali siano necessari e utili.

3. Competenza conscia: Sto apprendendo, faccio prove e tentativi, l’attenzione è vigile, mi concentro consapevolmente su ogni aspetto e ogni particolare. Provo a muovere i miei primi passi, con grande determinazione anche se spesso senza grande risultato; sono impegnatissimo ma finisco per cadere. Sperimento le mie prime telefonate con i clienti, mi sento agitato, dimentico alcuni passaggi durante la conversazione, mi trema la voce, temo le domande che l’interlocutore mi rivolgerà e ancor più temo se qualche capo magari mi ascolta… Questa è anche definita la fase della goffaggine, in cui l’allenamento è determinante e impegnativo ma ancora non consente performances elevate.

4. Competenza inconscia: La competenza diventa automatica, inconscia. A due anni cammino in automatico e coordino con perizia tutti i miei movimenti. Dopo il mio faticoso tirocinio, converso con i clienti in maniera naturale, “intuisco” le argomentazioni migliori da proporre, seguo una tempistica “interna” e magari contemporaneamente prendo appunti, consulto files, segnalo a gesti a un collega che al termine di questa chiamata lo raggiungerò per un caffè...

La competenza inconscia consente sempre un risultato di qualità?

Se la competenza inconscia è in un certo senso l’obiettivo del nostro percorso di sviluppo, la sua qualità dipende da come sono state elaborate le fasi precedenti; potremmo dire che dipende dalla qualità del “programma installato”; se nel mio "programma per guidare l’auto" ho inserito anche istruzioni come controllare i cartelli, guardare tre auto più avanti e non solo il muso della mia, verificare con la coda dell’occhio che quell’auto che dovrebbe fermarsi non esca dallo stop, allora la mia guida sarà sicura e fluida. Se queste istruzioni (abitudini) mancano, potrei rendermi conto che guidare è per me faticoso e poco performante. Se nel mio “programma per vendere al telefono” ho inserito anche l’attenzione ai micro segnali che il cliente mi manda e la gestione del mio stato emotivo, le mie performances telefoniche saranno soddisfacenti e di elevata qualità.

Quanto ci vuole per salire ciascuno dei quattro gradini? Dipende da quello che stiamo imparando e dalle nostre caratteristiche individuali: soprattutto la fase dell’allenamento può essere più o meno lunga. Ciò che fa la differenza rispetto al risultato finale non è però la durata di una fase, ma la sua qualità. Tutte le fasi sono importanti, ma la qualità dei risultati si fonda soprattutto sulla seconda e sulla terza: sono queste le aree in cui la professionalità del formatore può fare la differenza, perché “l’assistenza” che offre ai corsisti è determinante; più sono chiare e adeguate le idee circa ciò che occorre per apprendere una determinata competenza, più la fase di sperimentazione e allenamento sarà proficua. È molto importante investire tempo e attenzione in queste due fasi per ottenere un risultato finale soddisfacente; ripercorrere il processo per correggere è sempre possibile, ma tanto più difficile quanto più l’apprendimento poco efficace è divenuto automatico. Anche perché nella fase di “programmazione” entrano in gioco le convinzioni di chi sta apprendendo: se sono limitanti e la sua esperienza è povera, passare al terzo gradino risulterà arduo e quanto ad arrivare al quarto…

Programmare lo sviluppo delle competenze

Possiamo quindi immaginare il succedersi delle quattro fasi come un percorso a spirale. La competenza inconscia può sempre essere ampliata, migliorata, approfondita e affinata, ripercorrendo il ciclo. Sulla capacità di guidare un’auto posso costruire la capacità di correre in pista o le abilità di guida sicura. La capacità di scrivere può diventare la capacità di scrivere in inglese o di prendere appunti sul tablet mentre ascolto con attenzione l’interlocutore al telefono. Tutti quei comportamenti e quelle prestazioni che ci vengono spontanee e naturali sono state apprese attraverso un processo: sono le nostre competenze inconsce.

Più bravi siamo a fare qualcosa, più ci sembra facile e ovvio il modo in cui la facciamo. Se permaniamo a lungo nella fase della goffaggine significa che o non abbiamo impostato bene il “programma” per la nostra competenza, o non abbiamo lavorato sulle condizioni per renderla operante. Anche se è vero che non tutti partiamo dagli stessi livelli di capacità, il considerarsi poco dotati, o poco portati, è una semplificazione che scoraggia e limita, in parte un pretesto per non impegnarsi. Non possiamo essere tutti dei “Bill Gates”, ma tutti possiamo imparare a usare bene il computer: se ci interessa, se seguiamo un corretto processo di apprendimento e se pensiamo che ne valga la pena.

Quando si parla di competenze, non si intende solo ciò che è legato alle conoscenze tecniche specifiche per il nostro lavoro; ci rientrano a pieno titolo anche le abilità sociali come la capacità di mantenere relazioni corrette e utili con colleghi e collaboratori, la conoscenza del “territorio azienda”, le competenze emotive, le soft skill…

Mentre come formatori accompagniamo questo processo per aiutare i nostri corsisti a costruirsi le loro competenze, utilizziamo lo stesso modello per quanto riguarda i nostri apprendimenti professionali. Anche noi abbiamo competenze da coltivare…




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